Mi trovo nelle sale di un grande museo e passeggio tranquillamente lasciando che le immagini alle pareti e sul pavimento comincino a parlarmi. È da molti mesi che sognavo una scena del genere: i musei, dopo il grande stop, hanno riaperto i loro spazi. La cultura e tutti i suoi luoghi sono stati finalmente presi in considerazione da chi, per troppo tempo, li ha tenuti chiusi bollandoli come pericolosi e di elevato rischio per il contagio.
Entro quatto quatto nella grande sala e, oltre alla grande luce che l’abbraccia, noto che dall’altra parte dello spazio, appesa alla parete, c’è una grande opera azzurra. Non ho la vista acuta e la distanza è troppa per poter mettere a fuoco nitidamente l’immagine. È un grande rettangolo con il lato lungo per base, ma non è una forma perfetta, è come se ne mancasse una parte. Anche il colore ha qualcosa di strano, non è uniforme e possiede contaminazioni di altre tonalità
Mi avvicino, il suono dei passi sul parquet riempie la stanza dove attualmente mi trovo solo. Mentre il tratto tra me e la parete diminuisce inizio a capire e a distinguere meglio l’opera. Ora mi trovo a due metri circa e il riquadro è diventato enorme.
È una grande superfice composta da piccole fotografie che ritraggono il cielo: alcune immagini sono unicamente azzurre di varia intensità, altre presentano delle nuvole. Ci sono anche albe e tramonti.
Sono moltissime fotografie, tutte disposte l’una accanto all’altra. Le conto: ci metto molto, sono trecentosessantacinque. Un cielo per ogni fotografia e una fotografia per ogni giorno dell’anno.
In fondo sono solo cieli, ma uno diverso dall’altro e ognuno conserva la sua unicità. La fotografia prende e ruba quel che più di comune c’è al mondo e lo restituisce dedicandogli importanza. Fa questo creando una sua realtà ma tenendo anche bene le distanze con il vero cielo, quello che ogni giorno ci fa da tetto.
L’autore di quest’opera è Luigi Ghirri e queste fotografie non sono di certo recenti ma il loro potere resta attuale. Non si tratta di un potere legato ai mondi della magia e degli amuleti, ma è l’arte che, quando sincera e genuina, viaggia imperterrita sulle strade dell’attualità. Infatti, nonostante talvolta non ci si trovi di fronte ad opere o esposizioni recenti, l’arte e la fotografia fanno nascere pensieri che rimbalzano tra le pareti del presente aprendo i cassetti della realtà che ci circonda nel nostro qui ed ora.
Le cose comuni risvegliano il fare artistico e lui dona loro rilievo. Le immagini di Ghirri ci suggeriscono a bassa voce il bello, o il brutto, del quotidiano. Talvolta guardare in alto o guardar lontano sono azioni che possono rilevarsi preziose. Ecco che fotografia e benessere vanno di pari passo.
Fa riflettere vedere queste immagini dopo periodi difficili, passati in quarantena, in lockdown, con coprifuochi e limitazioni. Fa pensare a quelle cose, anche le più comuni, che in quegli attimi sono mancate di più: il fare, le relazioni, il camminare…il cielo.
L’occultare qualcosa alla vista è un invito per una riscoperta: questa riscoperta ha il sapore del valore della realtà che troppo spesso finisce nell’armadio delle cose superflue. Può darsi che il cielo non sia poi così vuoto.
Sarò sincero, in realtà scrivo queste righe mentre mostre e musei sono ancora chiusi al pubblico. Ancora adesso le contraddizioni del quotidiano continuano a farsi largo e generano incomprensione: è solo sfogliando le pagine di un libro che la mente si è liberata in questo breve racconto d’immaginazione sperando che quel rumore di passi sul parquet e quell’azzurro possano tornare reali nel nostro presente.
Testo di Francesco Serenthà