La vita è colore. D’altronde, la realtà è colore, una vastissima e ricchissima offerta di tinte, di oggetti e di esseri variopinti. Le stagioni sono un alternarsi di tavolozze nelle quali mutano gamma e saturazione: l’autunno dipinge le foglie, riscalda i panorami infreddoliti dal vento; l’inverno spegne e ingrigisce il paesaggio che sfuma nell’acqua della pioggia, nel grigio della nebbia, nel dolce bianco della neve; la primavera segna uno stacco, scansa i toni spenti e si veste di tinte accese, di germogli e di fiori dai mille colori; l’estate si infuoca con l’alzarsi delle temperature.
È proprio la patria del colore, la natura, che offre ad artisti e scienziati il materiale più accurato e completo per le ricerche degli stessi, là dove la luce cangiante delle differenti ore del giorno incontra la materia e le rispettive superfici. La luce ha ispirato l’azione di Constable, attirando l’artista e i suoi colleghi all’aperto, incentivando la fioritura della pittura “en plein air”. La natura, in pieno periodo realista, ha spinto i componenti della scuola di Barbizon nei pressi della foresta di Fontainebleau e riunito i Macchiaioli nella campagna toscana. Luce e natura hanno catalizzato l’attenzione di Monet e di buona parte del gruppo degli impressionisti. D’altronde, come abbiamo letto tra le righe di Vite a colori, nel medesimo periodo venivano approfondite le ricerche su questi due fenomeni naturali avviate precedentemente da Newton. Nascono così le numerose versioni della Cattedrale di Rouen, nelle quali Monet rappresenta il medesimo soggetto al variare delle ore del giorno. Le pennellate dipingono un protagonista sempre uguale e tuttavia sempre diverso.
Il paesaggio è ispirazione anche nella ricerca cromatica contemporanea. È il caso dell’irlandese Sean Scully, immersosi nel colore a tal punto da non lasciare spazio ad altro nella propria carriera pittorica. Per l’artista, il colore, per l’appunto, è effetto luminoso quanto materia stessa, netta, evidente e pastosa. La rispettiva esperienza visiva prende avvio con le cosiddette “supergriglie” degli anni Settanta, incroci di linee variopinte, nelle quali l’interazione tra colori è un coro di voci che si alterna nel richiamare l’attenzione dell’occhio umano. L’accostamento tra toni differenti e rispettive caratteristiche luminose, genera giochi di percezione visiva che ipnotizzano e ingannano il fruitore dell’opera. È qui che la sostanza pittorica si unisce ad altri materiali, integrando il tessuto dello scotch utilizzato per tracciare le linee, avvolgendolo, fagocitandolo. Nascono nuovi effetti cromatici in cui la materia partecipa fisicamente alla resa visiva impostata con il colore. L’esperienza artistica di Scully prosegue ed evolve, sperimentando ulteriori accostamenti, mantenendo tuttavia una grammatica di base che si ripropone con costanza: le linee colorate, le fasce di toni cromatici, dipingono ambienti emotivi e paesaggi reali, privati della linea di disegno e riportati nella loro essenza visiva. Questo risulta evidente osservando gli scatti che completano le esposizioni dell’artista: fotografie di luoghi nei quali spiccano fasce tonali che determinano la resa degli ambienti immortalati. Paesaggi spremuti per gustarne il prezioso succo che li anima: il colore. È questa la forza dell’opera di Scully.
Anche noi, come i paesaggi e le fotografie in questione, come le cose che troviamo nel mondo, siamo esseri colorati, e nemmeno ce ne accorgiamo: abbiamo un colore che contraddistingue la nostra pelle, i capelli, le iridi e la sclera degli occhi, i denti, le labbra e così via. Siamo colore fisico. È questo che rivelano le macchie tonali dipinte dagli artisti di fine Ottocento, o che evidenzia questa nuova forma di astrattismo realizzata da Scully. Il colore ci abita e con il colore interagiamo fino a scegliere le gradazioni che meglio rispondono ai nostri gusti e alla nostra personalità. Ogni tinta ha un carattere e una storia e con essi facciamo i conti. Con alcune sfumature ci sentiamo in sintonia, con altre non amiamo averci a che fare, ma i colori ci accompagnano e fanno parte di noi. Le nostre scelte cromatiche esprimono, comunicano, parlano di chi siamo e di come siamo, delle nostre tendenze, delle nostre abitudini, di cosa ci piace e di cosa invece no (addirittura, la già citata Maria Morganti afferma: «Il rosso sono io»). Questo vale per le scelte degli artisti che compongono opere quanto di quelle dei fruitori che le contemplano, come d’altronde per quelle di ciascuno di noi, dentro e fuori dal mondo dell’arte, per ogni aspetto della quotidianità. Quante personalità, quante varianti, quanti colori.
L’arcobaleno, la luce e la fisica dicono che sono sette ma le sfumature intorno a noi sembrano molte di più.
Testo di Stefano Sorgente
Altrimenti, per saperne di più su questo tema, guarda (o ascolta) l’ottava puntata di RGB, il podcast di Croma