L’arcobaleno, la luce e la fisica dicono che sono sette ma le sfumature intorno a noi sembrano molte di più. I colori d’altronde sono un fenomeno complesso o perlomeno complicato dalle teorie dell’uomo.
Nel XVII secolo, Isaac Newton, conducendo esperimenti di ottica, osserva che il fascio luminoso, colpendo un prisma di vetro e attraversandolo, ne esce scomposto in forma di luce colorata. Si scopre pertanto che la luce è generata da un susseguirsi di onde elettromagnetiche di vario tipo, differenti per frequenza e velocità. Tali varianti determinano i colori dello spettro visibile a occhio nudo. Goethe suggerisce ulteriori possibilità di osservazione e di ragionamento, ma la strada è tracciata: la scienza comincia a considerare i colori come risultato di fenomeni luminosi. Le tinte vengono analizzate e classificate, organizzate per rapporti di parentela: nascono i colori primari, i capostipiti, fondamentali per la nascita di tutte le altre sfumature. Tuttavia, le basi della ricetta cromatica perfetta variano a seconda del punto di vista considerato, e i colori primari della luce differiscono da quelli che incontrano la materia tangibile. I primi (che agiscono per sovrapposizione di onde) sono rosso, verde e blu (in inglese RGB): la somma dei sette toni dell’arcobaleno, o solamente di questi tre basilari, ricostruisce il fascio di luce bianca. Viceversa, i colori materiali sono frutto delle onde luminose rigettate, respinte e riflesse dalla materia. In questo caso i colori primari sono magenta, ciano e giallo, e da essi, come abbiamo modo di constatare grazie ai precisi rapporti codificati da Johannes Itten nell’omonimo cerchio, discendono tutti gli altri.
Considerare però i colori a partire dalle sole teorie moderne vorrebbe dire estromettere negligentemente aspetti culturali che la storia, nei secoli, ha attribuito alle varie tinte. Per esempio, il nero (considerato di recente un “non colore”) e il bianco (considerato invece somma di sfumature) verrebbero ingiustamente ignorati nonostante la loro onnipresenza. Queste tinte, facilmente ottenibili da materiali naturali, compaiono già nella preistoria e assumono significati esistenziali per la civiltà. Infatti, il bianco, chiaro e lucente, in Occidente diviene simbolo della vita, al contrario del nero, buio come l’ombra della morte; in Africa le cose si ribaltano: il nero della carnagione è indice di vitalità, mentre il bianco delle ossa rimanda al decesso. Come nel caso in questione, ogni tinta si veste di significato in base alla storia dell’umanità. Il rosso del sangue rimanda alla vivacità e tuttavia anche alla guerra, al martirio, e nel tempo diviene colore della regalità; il verde ricorda la rinascita primaverile ma anche la bile prodotta dalla rabbia; il blu e l’azzurro, colori dell’immensità dei cieli e del mare, suggeriscono l’infinito, rimandano alla spiritualità, al divino, e tuttavia prendono ampiamente piede in Europa solo nel tardo Medioevo. Il colore è simbolo, significato che tocca ogni aspetto dell’organizzazione civile, dalla pittura, all’abbigliamento, all’araldica, fino all’alchimia. Il colore è anche materia.
Lo sa bene Maria Morganti, un’artista che si cimenta in una ricerca cromatica inusuale e “infinita”. Assieme al filosofo Jean-Luc Nancy, ci regala Il colore succede, non si provoca, un libro che racchiude un’indagine personale sul processo pittorico, un incontro con il colore e con le rispettive possibilità. Interessante in questo senso è l’atto di lasciarsi guidare da quest’ultimo nella progettazione delle campiture del proprio operato: in base al colore residuo nella ciotola, la scelta attiva è quella di dialogare con quanto già esisteva. Le tinte vecchie si ibridano con le nuove versate e ne conseguono toni insaturi, colori sporchi: materia visibile, difficilmente misurabile, non analitica, per nulla scientifica. Il colore è materia che succede, che si sovrappone e che si mescola, come il passato con il presente, come le esperienze che colorano la vita e che stratificano la personalità in un Quadro infinito.
L’arte, la cultura e la scienza, pertanto, nel corso dei secoli hanno assorbito, analizzato e risposto al colore. Con esso hanno interagito studiandone aspetti archetipici e influenze psicologiche dei quali, ancora oggi, le arti terapie (come anche la grafica, la moda, il design, il marketing e la comunicazione) tengono conto. Perché il colore è un qualcosa di profondamente radicato, vera luce e autentica materia, a suo modo essenza della realtà. Noi siamo colore: indossiamo e vestiamo colori, osserviamo colori, riconosciamo e discriminiamo colori, pensiamo per colori, tocchiamo colori, mangiamo colori e con essi dialoghiamo, attratti e affascinati da questo aspetto evidente e caratterizzante della luce e della materia. Il colore è cellula e particella, onda effimera e sostanza permanente. In sintesi, il colore è vita e la vita… la vita è colore.
Testo di Stefano Sorgente
Altrimenti, per saperne di più su questo tema, guarda (o ascolta) l’ottava puntata di RGB, il podcast di Croma