«Il colore è un mezzo per esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che con questo o quel tasto porta l’anima a vibrare».
Così parlava Vasilij Kandinskij, celeberrimo pittore russo del Novecento, tra i massimi esponenti dell’Espressionismo tedesco, padre dell’Astrattismo, docente presso la scuola del Bauhaus. La rispettiva curiosità lo porta a indagare le regole e gli elementi dell’arte fino alle viscere della creatività, fino allo scheletro, al midollo dell’opera. Nasce così uno studio che, oltre a contribuire a rivoluzionare il panorama artistico mondiale, viaggia su binari multidisciplinari. Kandinskij infatti è uno dei tanti personaggi che indaga il fenomeno della sinestesia, inseguendo una correlazione tra colore e musica, tra segno e sonorità. La florida interazione tra canali creativi che anima il pensiero e l’azione di Croma, non sarebbe stata possibile senza i precedenti in questione.
La connessione tra questi due canali espressivi, tra materia e sonorità (prima ancora che tra colore e melodia), ha radici profonde in tutto il mondo. Molti miti d’origine individuano nel suono il seme per la nascita dell’umanità. L’incontro effettivo con la materia inerme anima e dona vita. Si spiegano così molte statuette tribali dei popoli australi con espressioni accentuate e bocche spalancate. Ogni rappresentazione di esseri viventi portava con sé un carattere di vitalità, il segno del proprio essere entità animate: ogni pietra doveva possedere inevitabilmente anche una propria voce. Secondo i miti brahmanici, i primi uomini erano esseri immateriali, luminosi e sonori che, quando scesero sulla terra, alimentandosi di piante e materia, persero le loro caratteristiche, i loro corpi si opacizzarono e ciò che rimase della loro sostanza originale fu la voce. Ogni cosa ebbe origine dal suono e divenne sostanza, mantenendo però un proprio timbro. Così, nelle culture afroasiatiche, ha origine una cosmogonia che si struttura mediante un complesso modello di relazioni e corrispondenze tra tutti gli elementi dell’universo: ad un determinato astro o pianeta, corrisponde una stagione, una fase della vita, una materia specifica, un animale, un suono e, di conseguenza, una nota musicale a legare ogni cosa. Il più antico sistema musicale indiano a noi noto, infatti, era costruito su alcune sillabe, abbreviazioni di parole sanscrite alle quali corrispondevano, come abbiamo detto, degli animali e, ad essi, delle parti del corpo e dei momenti della giornata, affinché ci fossero tutti gli elementi in grado di permettere all’uomo di vivere in sintonia con il creato.
Questo tipo di tradizione si diffonde fino in occidente. Nel medioevo, con la nascita dello stile Romanico, la cultura popolare si introduce nella scultura che decora chiese ed edifici. Nel battistero del duomo di Parma compaiono personificazioni dei mesi dell’anno, segni zodiacali e rappresentazioni dei mestieri. Vengono scolpiti animali e mostri, accanto a personaggi biblici. La scultura comunicava con il fruitore, istruendo attraverso immagini note e comprensibili all’uomo dell’epoca. Il musicologo Marius Schneider evidenzia come nei chiostri di San Cugat e Gerona, in Catalogna, le disposizioni dei capitelli e le decorazioni siano organizzate in modo da realizzare una partitura musicale. Come in oriente, l’immagine veicolava un significato codificato, in questo caso di tipo musicale. La collocazione delle rappresentazioni animali, tramite rimandi ben precisi, ricreava l’andamento della melodia, divenendo strumento partecipativo tanto per il sacerdote quanto per il fedele. Una sorta di Comunicazione Aumentativa Alternativa di altri tempi.
Nel Cinquecento è Arcimboldo a confrontarsi con il fascino di far combaciare invece musica e colore. Presso la corte degli Asburgo durante il regno di Rodolfo II, l’autore dei ben noti volti bizzarri, commistione di elementi naturali in grado di riprodurre le fattezze anatomiche del volto, identifica le diverse voci del canto polifonico con un colore specifico. A partire da questi studi vengono realizzati, i diversi abiti dei componenti del coro che allieta gli eventi di corte.
Agli inizi del secolo scorso, il compositore russo Aleksandr Skrjabin si cimenta in una ricerca analoga. Egli realizza una tastiera a colori, la cosiddetta Clavier à lumières, nel tentativo di portare in scena il Prometeo, un’opera sinfonica nella quale ad ogni modulazione armonica musicale avrebbe dovuto corrispondere una modulazione cromatica mediante l’uso di fasci di luce.
Dalle prime civiltà, al medioevo; dal medioevo al Novecento, passando per Arcimboldo, Skrjabin, Kandinskij e, infine, alla più modesta ricerca di Associazione Croma. Ecco il viaggio dell’incontro tra arte e musica, tra suono, immagine e colore fino ai giorni nostri, sebbene le vicende recenti della ricerca sinestesica meriterebbero un capitolo a sé. Questa però è un’altra storia.
Testo di Stefano Sorgente