Nella storia, nella storia dell’arte, c’è chi ha definito la scultura come l’arte di levare il superfluo dalla materia. Sono molti gli artisti che hanno camminato su questa strada e che continuano a farlo: c’è stato chi vedeva nel blocco di materia una figura nascosta ma ben definita e il suo mestiere era solo quello di liberarla dall’eccesso, chi invece ha relegato il precetto non solo alla scultura, ma ha cercato di estenderlo alla vita. C’è anche chi ha affermato che la scultura è una lingua morta.
Il mito della creazione dell’uomo ha inizio dalla scultura, dal fango che si fa carne tramite il soffio della vita. Perché allora essa non potrebbe essere, ancora oggi per noi, occasione per crearci, smontarci e ricostruirci?
Questo scomporre e ricostruire ci suggerisce però che oltre al levare esiste anche un aggiungere e un modellare. Infatti seppur l’arte di levare il superfluo adotta un forte valore che può insegnarci che alla base della vita ci sono la semplicità e la purezza e che queste debbano venire sempre ricercate, la scultura è anche aggiunta e modellazione. Sull’arte del modellare ci sarebbe molto da dire, sulle sue proprietà positive per l’individuo, per chi la fa, per chi la guarda e la conosce e quindi per colui che ha occasione di entrarne in profondo contatto. Il suo mettere in connessione i sensi del corpo, la sua metamorfosi dall’informe al riconoscibile, da caos a ordine, oppure il suo rapportarsi continuamente con il mondo e con il nostro quotidiano. Essa è una pratica che dall’intimo si può tradurre nel reale e concreto, può prendere le forme delle nostre paure o dei nostri sogni, delle nostre visioni e del nostro sguardo sulle cose. Noi, con il nostro corpo, siamo portati al centro del fare scultoreo e questo ci abilita ad una metamorfosi terapeutica. Vedere trasformare sotto le nostre mani una forma di creta, cercare quell’armonia relazionale tra lei e noi è stimolo al cambiamento. La creta nel suo modo di essere è affettuosa e riceve ogni impulso datole. In lei, indurita o cotta rimangono i nostri gesti e le nostre impronte.
Ma non esiste solo la creta: il levare e l’aggiunta, il togliere e il modellare con la materia del mondo ci mette a conoscenza del fatto che questo mondo ha un suo carattere. Dalla sopracitata affettuosità della creta alla bellezza inaffidabile del marmo, dall’educata presenza del legno alla asfissiante compagnia del gesso. Sono infinite le materie e i materiali che possono dar luce ad una scultura, e non esiste solo la modellazione di un impasto che si arricchisce di ingredienti o il levare, ma si può pensare alla scultura anche come composizione. La composizione della scultura passa per diverse tappe che, dal pensiero all’azione, si intersecano tra loro e dall’inizio alla fine, in ogni singolo istante sono fondamentali. Il pensiero iniziale è la scintilla che scatta quando il nostro sguardo ha accumulato così tante immagini provenienti dal mondo esterno da non riuscire a tenerle più ferme. Pensiero che si modifica man mano e che acquisisce nuovi particolari e che solo un disegno riesce a mettere a fuoco. A volte però questo non basta e si deve passare subito all’azione, alla creazione dei blocchi che comporranno la scultura o alla ricerca di oggetti che, come ready-made, si trasformeranno in utensili di estremo valore. Dal piano la composizione si innalza e la ricerca di equilibrio passa anche dalla distruzione o meglio dalla decostruzione.
Questi semplici processi stanno alla base di una pratica che è fondamentale per la scoperta del mondo e la conoscenza del nostro stare in esso o almeno può esserne l’occasione. Affrontarli nel modo più puro però non è così scontato. Durante i laboratori, nelle scuole per esempio, si dovrebbe far scultura non per rendere ragazzi o bambini dei piccoli artisti, come si sente spesso chiamarli ogni qual volta ci si approccia al mondo delle arti visive (talvolta l’espressione fa nascere sul viso un piccolo sorriso poiché trovo sminuisca l’arte ma soprattutto anche i bambini). Non si dovrebbe far scultura per arrivare al lavoretto da portare a casa e conservare su una mensola. Si dovrebbe far scultura per incontrare l’esperienza del fare artistico e creativo. Quest’ultimo, paradossalmente, non ha nulla a che fare con l’arte, o meglio la precede, l’anticipa e ne sta alle basi. Atto creativo che è fondamenta non della bellezza, a cui tante volte erroneamente si associa e si incatena alla parola arte, ma della purezza e da questa deriva la forza di levare il superfluo.
Testo di Francesco Serenthà