Crescere bene in un luogo vuol dire avere un buon luogo dove crescere
In un precedente articolo (Lo spazio nella scuola) ho già introdotto il progetto “La città condivisa” ed ora vorrei riparlarne. Era un lunedì pomeriggio e mi accingevo a trascorrere il primo giorno di laboratorio con una classe seconda in una scuola media di Monza. Parlare di spazio e di luogo, di arte e di artisti non penso sia mai semplice, soprattutto con dei ragazzi in piena adolescenza. C’era però, in sottofondo, un fattore che giocava a mio vantaggio ovvero una sottile analogia tra i ragazzi e gli spazi che quotidianamente ci circondano. L’età giovanile è quella dove maggiormente si notano le trasformazioni del proprio corpo e della propria mente e osservare questi come luoghi, assimilarli e associarli allo spazio creando un ponte tra setting interno e esterno è importante per entrare in contatto con il proprio mondo in pieno e profondo rapporto con questa trasformazione. Analogamente al corpo, anche lo spazio intorno a noi è in continua trasformazione, plastica e meccanica, poetica e visiva.
Ma come parlare a dei ragazzi di questa cosa? Attraverso quale fare artistico poteva passare questo concetto? Se bisogna parlare di spazio perché allora non agire su di esso come prima cosa. Entrando nella stanza mi son trovato di fronte una classica aula scolastica: in una struttura di certo non nuova e non ricca di manutenzione. Le pareti erano color pastello sporco, banchi e sedie consumati dagli anni, qualche cartellone attaccato qua e là senza nessuna cura. È preoccupandosi anche di dove agire e non solo di cosa fare in uno spazio che esso si trasforma da scenario ad attore rendendo così attori sulla scena gli stessi individui che lo vivono. Nel caso di una scuola rendere i ragazzi protagonisti di questa struttura e far sentire loro necessari al benessere quotidiano è fondamentale non solo per restituire dignità al tempo passato a scuola, ma anche per non trattare i ragazzi come individui semplicemente da istruire o come vasi da riempire: essi sono invece i protagonisti della scena. Così lo spazio rifletterà i contenuti che vengono espressi nei suoi ambienti favorendo un atteggiamento sensibile che privilegia l’apertura e la libertà dei fruitori e della loro personalità. Quest’aula resa disponibile dalla scuola e normalmente usata come laboratorio di tecnologie è stato sfruttato al pieno delle sue possibilità trasformandolo da luogo tipo dove si esige una lezione frontale a palco teatrale. Prima di entrare ci si toglieva le scarpe, sia noi artisti terapisti sia i ragazzi, come quasi fosse un rito che aiutasse ad entrare in un’altra dimensione; l’ambiente, svuotato per ogni laboratorio di sedie e banchi, si presentava sotto un nuovo sguardo e ciò ha favorito la riuscita delle attività proposte e il coinvolgimento di ogni singolo individuo. I ragazzi, per le prime volte straniati da un’aula completamente vuota dove non sembrava neanche di essere a scuola, hanno cominciato ad abituarsi e a relazionarsi in maniera altra e coinvolgendo tutti al pieno delle proprie possibilità. Non solo la gestione dello spazio ha contribuito a tutto questo ma anche la scelta dei materiali utilizzati e la loro disposizione nell’aula nella maniera tale che favorissero la comprensione di ogni gesto, la libertà dell’individuo ma anche il rispetto verso il materiale stesso e quello che si andava creando.
Ragionando sulla scuola bisognerebbe partire dalla struttura stessa: una scuola, se è una scuola, non può che offrire quella particolare esperienza che permette a chiunque di riconoscerla come esperienza scolastica vissuta in determinati spazi. Ma allora chiediamoci come potrebbero essere le nostre scuole anche solo a livello di struttura e di ambienti. Siamo sinceri: a quanti di noi piaceva frequentare la scuola, seguire le lezioni o fare i compiti a casa? Non è facile vivere bene e sentirsi a proprio agio entrando tutte le mattine in una struttura formata da un blocco di cemento grigio, rimanendo seduti in aule spesso riadattate con banchi e sedie vecchie e usurate dai decenni, mancanti di pezzi e di decoro e dove magari le pareti non si ridipingono da anni, dando così quel senso di tristezza che accompagna la maggior parte delle strutture scolastiche. Pare scontato dire che ambienti del genere non sono utili all’apprendimento, ovvero ad una parte importantissima in una delle fasi più delicate dell’età di un individuo. In un approccio dove la crescita non è delegata esclusivamente alla comunicazione verbale, lo spazio diventa elemento essenziale all’interno del processo terapeutico. L’ambiente scolastico è prima di tutto un luogo relazionale e sociale dove il benessere si valuta in termini qualitativi.
Testo di Francesco Serenthà