Per imparare a camminare ci vuole equilibrio, per imparare a pedalare ci vuole equilibrio, per diventare grandi ci vuole equilibrio. La stabilità però, come ci dicono la fisica ma anche la psicologia di Bion, non è un fenomeno statico. Essa è data da un movimento, da un’oscillazione che tende verso forze opposte che si annullano (o si completano). Da queste premesse inizia un viaggio di crescita.
Anche per navigare ci vuole equilibrio… In un pomeriggio di febbraio un gruppo di bambini con sindrome di down è pronto a giocarsi tecnicamente e manualmente in un’opera di bilanciamento, che richiede un attento lavoro di sinergia di squadra. Dopo i consueti riti di avvio del lavoro terapeutico, l’attenzione dei bambini è calamitata da un supporto di cartone adagiato al pavimento. I futuri giovani artisti si dispongono ai lati del piano di lavoro assieme ai loro operatori. Le piccole mani afferrano il cartone e le dita trattengono il supporto, mentre si diffonde un clima di curiosità. Il piano prende il volo e si solleva parallelo al terreno. Poi, all’improvviso, una goccia di colore blu si deposita nel centro del supporto. Seguendo le indicazioni dei conduttori, mani, braccia e corpi si muovono alternatamente su e giù, imprimendo al cartone il movimento di una barca cullata dalle onde. Ha inizio un saliscendi di emozioni immagine dell’attività in corso, che anima la goccia d’acqua invitandola a dirigersi prima da un lato e poi dall’altro, in tutte le direzioni, verso le estremità del supporto. Le onde, date dall’oscillazione di braccia e corpi dei piccoli artisti, generano una diramazione di corsi d’acqua blu, di fiumi, di strade che tendono verso i propri amici, verso ciascun membro del gruppo. È un gioco di squadra, un lavoro di equilibrio, un viaggio emozionante, che suscita stupore negli occhi e nelle voci. Nonostante l’inesperienza dei piccoli bimbi, il liquido non esonda mai, non cade a cascata dal supporto. C’è emozione e c’è attenzione. Nelle relazioni ci vuole equilibrio, per crescere ci vuole equilibrio, ma la stabilità non è un fenomeno statico e questo l’arte lo sa.
L’arte sa essere terapeutica poiché accetta e accoglie l’emozione, lo slancio, l’impulso, l’impeto, l’emotività; non la cancella né la spegne bensì la veicola, la incanala, trasformandola in segno costruttivo. Essa cura perché muta in strumento utile ciò che appare dannoso. Non è accettazione dell’eccesso quanto invece estern-azione, azione che esprime, senza giudicare, che accoglie il “brutto” coinvolgendolo nell’opera. «L’arte, infatti, è capace di armonizzare il disordine, attraverso l’organizzazione di forme, l’arte è l’equilibrato rapporto tra confusione e controllo, è turbamento corretto con i confini, è scarica delle tensioni, è rappresentazione dei pensieri e delle emozioni» (L. Grignoli). È così che il disequilibrio può divenire una tappa o una fase di passaggio di un processo più ampio, di un fenomeno positivo: ciò che è squilibrato smette di essere un polo centrale sul quale concentrare l’attenzione sbilanciando la prospettiva; esso si rivela invece un punto, come tanti, inscritto nel percorso di crescita. Il convertitore fruttuoso, in questo processo, risiede paradossalmente in un “contenimento” che prende il nome di tecnica: è il controllo manuale dell’energia (sensibile e visibile) che consente un’educazione all’autoregolazione. La chiave dell’equilibrio sta proprio nella visione d’insieme che ricongiunge i punti all’interno di un risultato armonico, nel riconoscimento dei limiti, dei confini, dei margini, nel controllo dello strumento: la padronanza del mezzo non limita, bensì amplia le possibilità, perché dona all’energia e alla pulsione creativa (o distruttiva) un maggior numero di vie di realizzazione efficaci, che però, una volta trasposte visivamente, originano una creazione, un’azione positiva, in grado solamente di generare ciò che prima non esisteva.
Quel giorno di febbraio, senza saperlo, i nostri protagonisti hanno cominciato ad acquisire tutto questo, sperimentandolo in prima persona, vivendolo sulla propria pelle e imparandolo con le proprie mani inesperte. Le piccole dita hanno sollevato e sbilanciato ma hanno anche controllato e trattenuto, senza sforzo, con piacere, con la dolcezza di un mare che si dondola instancabilmente. Ne è nata una diram-azione, una tensione verso l’altro sotto forma di tante direzioni tracciate, equilibrate dal ricongiungimento delle strade, sintomo di un’armonia di gruppo. Per crescere ci vuole equilibrio, nelle relazioni ci vuole equilibrio… per trovare un equilibrio bisogna mettersi in movimento ed essere pronti a navigare. Insieme, poi, il viaggio è più bello!
Testo di Stefano Sorgente
Tratto da un’esperienza vissuta presso La Prateria Soc. Coop. Sociale Onlus
e da una tecnica appresa grazie a collaborazioni precedenti con Monica Liguoro (artista terapista).