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Riassunto

Davvero essere Pop vuol dire scadere nel commerciale? E se riuscire mettere d’accordo tutti fosse un valore? In un contesto in cui la musica contemporanea a volte risulta divisiva può nascere una musica... buona perché inclusiva. Con creatività torniamo a parlare del valore insito nella musica tutta da gustare dei Pinguini Tattici Nucleari.

MUSICA BUONA #3

Ci è sempre stato detto che non è possibile piacere a tutti, che è necessario smetterla con la nostra necessità feticista di compiacere chiunque per forza, a nostro discapito. Sanno bene di che cosa sto parlando gli “artisti”, e metto tra virgolette questa parola proprio per non entrare nella disamina eterna e forse un po’ sterile di chi sia un’artista, se lo sia chi si sente tale o chi è insignito di questo termine dall’alto. Chi si sente veramente artista ometta le virgolette, chi non si sente all’altezza del termine le lasci. Esiste un rischio per chi è artista, reale o virgolettato che sia, ed è quello di rigettare completamente il piacere feticista di cui parlavamo poco sopra, alcune volte un pochino esagerando e compiacendosi della sua elitarietà. Arrivare a pochi diventa sintomo di orgoglio perché… quei pochi sono gli eletti che hanno capito l’arte, sono quelli in grado di entrare nelle segrete stanze della cultura più elevata. Capita spesso che meno un prodotto artistico sia comprensibile più sia vanto per gli autori. Questo vale nell’arte visiva, così come nella musica: più in una canzone si è criptici, elitari e incomprensibili più si è elevati; più un brano è complesso più diventerà una pietra miliare di un’epoca musicale. Tutto il contrario del Pop, vero? Quella roba lì fatta dai soliti 4 accordi, con i testi che parlano di baci all’alba dopo una serie di discutibili attività notturne.
Ed ecco che spesso i fruitori di musica si dividono tra due grandi gruppi, o meglio tra un gruppo molto piccolo, che ascolta solo Jazz in vinile e solo intermezzi tra i brani dei Pink Floyd (perché: «Another Brick in the wall sono bravi tutti ad ascoltarla!»), i cui membri guardano con compassione mista a ribrezzo malcelato l’altra (stragrande) parte di fruitori: quelli che ascoltano musica semplicemente per il gusto di farlo.

Ora secondo il mio modesto parere da artista virgolettato il problema c’è e non è indifferente, e c’è da entrambe le parti.
Punto primo: l’arte non deve piacere a tutti, ma nasce per arrivare a tutti. Basti pensare al povero e triste Medioevo, nel quale le opere d’arte erano destinate proprio alle persone analfabete che potevano leggere la storia di Cristo sui muri delle chiese, e non certo solo ai nobili che al contrario avevano la missione di promuovere l’arte finanziando i vari artisti. L’arte non deve essere una cosa di pochi, da rinchiudere nelle teche di collezionisti abbienti e da friggere nell’aria dei discorsi di critici spocchiosi. Ma allo stesso tempo l’arte nasce per elevare l’uomo, per portare il suo pensiero e e la sua espressione più in alto e pertanto non può “abbassarsi” solo perché così facciamo meno fatica ad afferrarla. Cosa vuol dire quindi essere pop, cioè essere popolare? Il concetto è stato troppo spesso strattonato tra i sinonimi “umile” da un lato e “famoso” dall’altro. Essere artisti pop, popolari per l’appunto, per chi scrive significa essere inclusivi, arrivare a tutti o quantomeno provarci, non lasciando indietro chi è meno esperto, portando comunque una crescita per tutti, anche per i palati più esigenti.

Mentre vi scrivo ho nelle orecchie della mente una canzone che luccica esattamente come un bel tormentone estivo proveniente dalla plaja ma che, come dicevamo negli articoli precedenti, mi ha costretto a cercare cosa fosse il Berghain su Wikipedia, che parla di giochi amorosi dell’estate, giocando con nomi come De André e Lady Diana. Sto parlando di Rubami la notte dei Pinguini Tattici Nucleari. Loro sembrano avere in mente che l’opera artistica non è come una scatola, con una forma esterna e un contenuto, ma piuttosto come un buon bicchiere di vino, che riesce a mettere d’accordo tutti, i “sommelier” e gli amici di sempre radunati intorno ad un tavolo.

Quindi ti consiglio i Pinguini a prescindere da quale intenditore di vino musicale tu sia. Se sei uno che beve il vino semplicemente perché gli piace farlo, potrai per esempio berti BarFly come un buon bicchiere di prosecco mentre cucini una cacio e pepe in cucina, niente di serio insomma. Sentirai una canzone malinconica, ma comunque energica e piuttosto orecchiabile. Tutto qui, nessuno te lo vieta e nessuno ti giudica, hai scoperto una buona canzone e un buon gruppo, Evviva te! Se sei uno che apprezza il vino con maggiore cura, prestando attenzione ai gusti più dolci e aspri, ti potrai accorgere che tra le note pop e gli accordi orecchiabili di Cena di classe trovano casa versi che raccontano di omotransfobia, suicidio e violenza di genere. Temi tanto crudi e oscuri, quanto le tinte cangianti con cui vengono raccontati in questa ballata pop, senza che questa scelta svilisca niente e nessuno.
Ora mi rivolgo ai sommelier, che però sono abbastanza intelligenti da non snobbare i vini in offerta solo perché costano poco; questi personaggi scopriranno che nonostante il poco prezzo da pagare in termini di fatica, ascoltando Bergamo, tra le pieghe facilone e digeribili della tonalità di Mi Maggiore, saranno sorpresi da alterazioni e intervalli aumentati e diminuiti e virate improvvise di tempi composti.

Ecco che quindi mi accingo a mettere tra virgolette questi artisti, non perché non si meritino il vero senso del termine, ma perché credo che a loro piaccia così. La loro musica mi piace in primis perché sono un ascoltatore di musica Pop, lo dico senza vergogna e senza timidezza, ma perché, per me, hanno capito quale sia il senso dell’arte: l’arte è “per bene” quando è fatta bene, con qualità (per bene) e non per se stessa, quando riesce a regalarti un concetto o suscitare in te un pensiero senza fartelo pesare. L’arte è per bene quando riesce a vestire con tinte cangianti anche i temi più oscuri, non per farne una caricatura, ma per poter far pensare tutti.

Continua…

 

Testo di Mattia Tagliani

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