La carta: un tempo pesante nel tronco di un albero, e ora così sottile e leggera, in grado di levarsi in volo alla prima folata di vento. Di come la pianta sia divenuta foglio abbiamo già parlato (La carta e il suo processo); di quello che la carta può diventare, forse, ancora non s’è detto abbastanza.
Collochiamo la carta nel cielo, delicata e leggera com’è. Un elemento di terra che si eleva e prende quota. Collochiamola anche solo con l’immaginazione. La carta può far sognare: permette di rappresentare, delineare e concretizzare cose che fino a un momento prima non erano visibili; può anche lasciarsi trasportare; può risuonare se sbattuta, sfregata, strappata o accartocciata, rivelandosi strumento musicale; può lasciarsi trasformare. Evitiamo che lo scarto diventi rifiuto e trasformiamolo in polpa. Immergiamo pezzi e frammenti nell’acqua, lasciamo macerare e poi frulliamo il tutto. La carta fuoriesce mutata, morbida e viscida, modellabile. Otteniamo un ammasso informe che, come tale, può generare poesia. La polpa è candida, umida, ammassata. Se collocata in un contesto che la accolga valorizzandola al meglio, questa massa può assomigliare a una nuvola. Disponiamola su un supporto rigido tinto di azzurro. Doniamole un cielo nel quale rivelarsi ed elevarsi. La matassa fluida, depositata si adagia e assume la forma che gesto e movimento prevedono per lei. Atti inconsapevoli determinano quel che sarà. Il liquido scorre muovendo la polpa, aiutandola ad estendersi e a librarsi. Ripetendo l’azione più volte, ogni massa assumerà una forma diversa sul rispettivo supporto di base. Si ottengono risultati differenti, vari come vario è l’aspetto di ogni singola nube sopra le nostre teste. Come per il ciclo dell’acqua poi, ciò che è liquido lascia la polpa ed evapora stabilizzando i nostri cieli. Ogni supporto, ogni formella risulta stabile con il proprio azzurro a fare da sfondo a forme fossilizzatesi, leggere ma solide, evidenti, bassorilievi che aiutano a sognare.
Nascono così cieli maestosi. Tra le nostre mani, dalle nostre mani, con materiali semplici può nascere l’immenso. Si sperimenta la materia, tra calore e freschezza, secchezza e umidità, morbidezza e solidità. Si sperimenta il rispettivo cambio di stato. Si riscopre la gestualità nelle rispettive varianti. Si esplora e si sogna, si sogna e si manipola. Nasce il cielo in una stanza. Tra tinte celesti e rimandi all’oro di età barocca, con poco si può ottenere tanto. Modelliamo l’infinito.
Come moderni demiurghi poi, basta un po’ di fantasia per trasformare il medesimo materiale in qualcosa di ulteriormente diverso. Dopo essersi occupati del cielo possiamo plasmare la terra. Utilizziamo ancora una volta dei supporti rigidi per realizzare la base del nostro lavoro. Dipingiamoli di blu: è così che nasce il mare. Non resta che ripetere il processo presentato in precedenza: doniamo nuova vita alla carta scartata. Sminuzziamola e frulliamola, miscelandola con i colori della geografia fisica. Possiamo ottenere polpa di carta verde, gialla e marrone da assemblare poi insieme sui nostri mari piatti e rigidi. Nascono isole e continenti, nuove terre che si ergono prima morbide poi salde e solide nella solitudine degli abissi, tinte calde in mezzo al fresco del blu. Diamo forma in maniera costruttiva, nuova vita alla materia inerme; diamo valore allo scarto.
Con uno stesso materiale, con la medesima tecnica e poche varianti a livello di procedure, possiamo strutturare proposte differenti: esperienze costruttive, di qualità, risultati estetici di rilievo (in tutti i sensi). Le mani sperimentano differenze e possibilità, tra ciò che era, ciò che è, ciò che può essere e ciò che di conseguenza sarà; la mente immagina possibilità. Giochiamo a fingerci creatori di cieli e di un’isola che non c’è, non per megalomania ma per scoprire la materia, per sperimentare soluzioni e generare occasioni. Sognare mondi possibili e porsi nuovi orizzonti.
Nasce tutto da ciò che non c’era o che più non era. Si comincia da una pianta sacrificata per generare l’intreccio leggero di un foglio di carta. Non permettere che deperisca, non lasciare che si perda. Si riparte da quel rifiuto stracciato per generare nuovi paesaggi di bellezza. Bellezza interiore che genera opere nuove, poesie visive nelle forme immense di tutto ciò che di bello e di immenso è già stato creato.
È il mondo visto dal mondo. È il mondo Croma.
Testo di Stefano Sorgente
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