PARTE PRIMA
Uscendo di casa l’operazione che si fa è quella di vestirsi: indossare gli abiti che più ci rendono pronti ad ogni tipo di clima e situazione. Portiamo tessuti caldi d’inverno per proteggerci dal freddo e sfoggiamo accurati abbinamenti per le occasioni più chic. Tutto questo fa parte di gesti e pensieri quotidiani, intimi e sociali, in continuo dialogo con noi e con il mondo che ci circonda. Vestiti per uniformarsi e quelli per rendersi alternativi, indumenti che ci portano altrove, che parlano di noi e del nostro mondo. Non sono qui però a pubblicizzare un brand o una linea di abbigliamento: questa semplice riflessione è dirottata nel mondo dell’arte e della musica. Infatti mi piace pensare che la parola “vestito” possa non calzare unicamente sugli oggetti che vediamo e ri-conosciamo come abiti, ma possa anche infilarsi anche in altri spazi e concetti della nostra quotidianità.
Per esempio l’arte talvolta è una veste che può aderire perfettamente. Un morbido tessuto che si adagia alle forme e ne riveste le linee, non del corpo, ma quelle della nostra mente. Abito quindi che combacia con le nostre idee, emozioni e sensazioni, vissuti ed esperienze. Gli indumenti che portiamo possiedono una capacità estremamente interessante poiché allo stesso tempo possono coprire qualcosa ma anche svelarne la forma facendo intuire il contenuto sottostante. Possono far quasi letteralmente leggere un corpo piuttosto che un altro. E questo lo può fare anche l’abito chiamato arte poiché, parlando di lettura, una scultura o una fotografia, i versi e le note di una canzone possono tradurre un nostro stato d’animo. Non vi è mai capitato che ascoltando o leggendo il testo di una canzone, certi ricordi e certe situazioni riaffiorino a galla? Entrando in un museo o accedendo ad una mostra per osservare un quadro o un’installazione è stato mai come ritrovarsi di fronte ad uno specchio? Il testo di una canzone sconosciuta o le sue note riflettono una relazione che in quel determinato momento ci fa star male o i colori e le forme su quella tela portano sulla bocca un sorriso pieno di bei ricordi. È sempre un’epifania, per me, ogni volta trovarmi difronte a questo fatto e sono convinto possa succedere a tutti e non solo a chi ha studiato arte o musica: è importante che accada perché con il tempo ho capito che ascoltare questi stimoli esterni vuol dire ascoltare se stessi. È un qualcosa che talvolta funziona talmente bene che alla domanda “come ti senti?” si può rispondere “come questa canzone”. E perché allora non cogliere l’occasione di ascoltare un po’ più se stessi costruendo così, con l’aiuto di questi stimoli, la possibilità anche di stare meglio, riflettendo magari intorno a certi contesti della nostra vita che ci sfuggono o pensando ad una relazione finita male oppure portando alla memoria situazioni felici. Così possiamo in certi periodi vestirci di rock come d’inverno ci si veste di lana o in altri indossare un po’ di fotografia o di pittura così come si porta l’intimo.
Chiaramente nel contesto Croma parliamo di arte visiva e musica, ma possiamo traslare, immagino, il discorso anche in altri contesti. Pensiamo ai libri, saggi o ancor di più romanzi: quante volte alcuni personaggi si vestono delle nostre idee ed emozioni, tengono relazioni che ricordano le nostre o vivono esperienze che sembrano scritte apposta per noi. Pensiamo ai film, alle serie tv o agli spettacoli teatrali. So bene di non dire cose nuove con queste parole, io stesso prima di far apparire queste righe su carta le pensavo da molto tempo. La questione è tenerle a mente e non dimenticarle perché nella fretta quotidiana troppo spesso succede. A me per primo. Bene, e ora?
Mi preparo per uscire, che arte indosso?
Testo di Francesco Serenthà
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