Inquietudine e valorizzazione
Sfogliando una raccolta ordinata di lavori dei ragazzi che incontriamo durante le terapie, ritrovo la pagina che stavo cercando: un foglio luminoso ma dalle tinte forti, una potente macchia cromatica che si estende sulla totalità del supporto. Ricordo ancora il pomeriggio nel quale, dall’azione di un bambino estremamente inquieto con energici scatti di aggressività, nacque questa sperimentazione. Dopo molteplici “battaglie”, avevamo trovato un terreno d’incontro grazie all’arte, attività in grado di rilassare il piccolo e di provocare in lui un mutamento sostanziale: duettando con la pittura, nasceva un dialogo che mi consentiva di contattare una persona che altrimenti restava nascosta. Il giovane davanti a me era dolce, tranquillo e affettuoso, un agnellino in confronto alla versione precedente di se stesso, urlante, esagitata, a tratti violenta, della quale, in quel momento, egli sembrava il gemello buono.
Quel pomeriggio egli scelse di “pasticciare” con le bottiglie di colore a disposizione e versò le tempere su della comune carta da stampa. Aveva unito in poco spazio, blu, rosso, nero e…oro, una scelta particolare dall’impatto non indifferente: ha scelto la preziosità, affascinato dalla luce; l’eleganza e la severità, l’austerità, di un non colore duro; vi aveva miscelato l’energia irrefrenabile e pulsante, accompagnando il tutto con una tinta distesa e meditativa. Il risultato era un’accozzaglia vibrante la cui armonica stonatura venne amplificata da un gesto semplice ma inaspettato: il bambino piegò energicamente il foglio a metà, facendo combaciare i lembi colmi di tempera, schiacciandoli e appiattendoli tra le mani con l’intento di nascondere e distruggere la materia pittorica, stampando, spalmando e fondendo il colore. La riapertura del foglio mostrò un risultato affascinante: ciò che prima era informe ora aveva acquisito simmetria, il fluido si era armonizzato in maniera speculare e i colori puri, accostati, davano vita ad un risultato estremamente particolare, bello e sofferto al contempo. Sul viso del piccolo autore comparve stupore, poi un sorriso.
Siedo con il foglio tra le mani. Sono passati parecchi mesi eppure riscontro ancora una volta con meraviglia la capacità rispecchiante dell’opera: quei colori così vividi, afferrati impulsivamente, non sono stati scelti totalmente a caso: gusto e carattere guidano l’istinto; il propagarsi della pittura sotto la forza delle mani dell’autore ha assunto forme e venature energiche e contorte, nervose e infuocate, come il bambino che ho conosciuto. Ritrovo l’inquietudine, il malessere, ma rivedo anche la bellezza genuina di un fanciullo e di quella rispettiva energia vitale che cercava un canale di espressione. Non si tratta solo di proiezioni psicologiche personali e simbolismo: lavorando con l’arte si può veramente riconoscere, con continuo stupore, una corrispondenza tra gestualità, colori, rappresentazioni, vissuti e personalità. Il lavoro delle mani sulla carta schiacciata aveva lasciato un segno sul foglio, le dita, avevano “scavato” quelle che l’autore aveva identificato come piume appartenenti alle ali di un angelo: era questa la figura simmetrica che emergeva da quell’involontario test di Rorschach. Anch’io ero stato in grado di riconoscere la figura celestiale nelle forme di quella macchia variopinta, ed ora mi chiedo come possa rendere evidente in maniera universale il prodotto angelico di quello sguardo.
Ha inizio una fase di post-produzione che, in quanto tale, ha l’obiettivo di estrarre il valore già presente nel lavoro, esaltandone contenuto e potenzialità. La restituzione finale, il prodotto, l’opera, sono importanti poiché sono il frutto tangibile di un processo e di un’azione. Esaltare il risultato vuol dire pertanto riconoscere e dare dignità all’impegno, allo sforzo creatore e al percorso espressivo. Questo, talvolta, passa anche attraverso la rifinitura del buon risultato per mezzo di mani allenate, cosicché la bellezza venga sottolineata con cognizione, senza che questo significhi operare rivoluzioni e stravolgimenti al lavoro altrui: a volte basta una cornice o il giusto allestimento; altre volte può essere utile ridimensionare le sbavature per esaltare quanto è stato fatto da chi, solitamente, si approccia al mezzo artistico senza essere un pittore né tantomeno un esperto del settore. Nel caso in questione invece è in atto un intervento “invasivo”, una presa in carico del prodotto grezzo: la figura osservata tra le macchie di colore affiora flebile. Si tratta di quello stato di osservazione e riconoscimento che operiamo guardando le nuvole e lasciandoci guidare da uno sguardo sognante tramite il quale diamo un nome a forme abbozzate. Pertanto, munito di strumenti grafici di precisione, rimarco le linee che suggeriscono il piumaggio delle ali e aggiungo dei colpi di luce; le suggestioni diventano così oggettività e le forme prendono vita staccandosi dallo sfondo. Dopodiché mi permetto di aggiungere per esplicitare ulteriormente: il collage mi fornisce l’occasione per inserire la figura descritta e palesare il contenuto tramite un linguaggio più illustrativo e iconico, con l’intento di agevolare anche la fruizione del pubblico di bambini che si troverà ad interagire con l’opera a “quattro mani”. Inserisco un corpo laddove non era presente: disegno un omino, semplice ed essenziale, pronto ad indossare le ali comparse tra il colore, per condividere l’esperienza dell’autore, di quell’angelo tormentato che aveva trovato una voce riconoscendosi bello.
Testo di Stefano Sorgente
Tratto da un esperienza presso La Prateria Soc. Coop. Sociale Onlus.