«È un mondo nato dall’arte per questo artificiale».
Argento Vivo, Daniele Silvestri e Rancore, 2019
L’arte, per sua natura, vive uno stretto legame con l’azione umana, con la tecnica manuale (techné), che fa di essa un artificio. Plinio il Vecchio attribuisce l’origine della pittura al genio di una giovane donna che, per sopperire alla partenza dell’amato, ne cattura il profilo seguendo i contorni dell’ombra proiettata su parete. Pertanto ha il via una ricerca della mimesi che si protrae nei secoli, una trasposizione della realtà che è però finzione, falsificazione del vero. Tuttavia, oggi giorno, questo artificio è uno strumento efficace e sincero per ricongiungersi con la realtà.
In un contesto nel quale il lavoro, l’industrializzazione, il progresso e la tecnologia hanno allontanato l’uomo dalla natura, imponendo ai ritmi quotidiani una velocità sostenuta, l’arte, ormai svincolata da esigenze di realismo, apre all’espressione e all’ascolto di sé e del mondo, dando il via ad un processo di riscoperta del tempo, della corporeità e dei ritmi naturali che animano la vita e le cose.
Questo, da un lato, si traduce in una direzione “green”, in un innovativo recupero del dialogo con l’ambiente e con il paesaggio accelerato nel secolo precedente grazie alla Land Art, a Cheval e al suo Palais idéal, e proseguito nell’utilizzo di materie semplici ad opera di certi esponenti dell’Arte Povera, trovando l’eccellenza nel lavoro di Andy Goldsworthy e negli artisti che hanno contribuito alla creazione di Arte Sella, fino a ripresentarsi nelle opere di Arte Terapeutica Arte in Orto, dell’amica Chiara Basilico, e Nutrica Zea, coordinata dalla prof.ssa Tiziana Tacconi (storica docente dell’Accademia di Belle Arti di Brera) e realizzata insieme agli studenti del corso di studi di Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica di Brera. Dall’altro lato, invece, come ricordano peraltro gli ultimi esempi citati, si pone e permane il fare arte tradizionale, orientato alla cura della persona.
Fare arte, realizzare un ritratto o un paesaggio, rappresentare, richiede una riscoperta dello sguardo, un’azione apparentemente statica ma energicamente curiosa, in grado di restituire una connessione tra noi e la realtà, in grado di reinserirci nelle coordinate di spazio e tempo. Bisogna fermarsi, riscoprire il silenzio, l’ascolto, restituire valore all’attesa. Così facendo il corpo si predispone a sentire concretamente, ad esperire con la pienezza dei sensi e delle proprie facoltà, spalancando contemporaneamente le porte del mondo esteriore e di quello interiore. La realtà può farsi sensata e vicina perché sentita sulla pelle, catturata da uno sguardo, da uno scatto, da uno schizzo, lasciata entrare nelle membra, fissata nella memoria. Ogni cosa ritrova il proprio posto: il silenzio ed ogni suono, la brezza del vento, quella sensazione di freschezza sulle guance, il calore del sole sulla pelle. Il respiro si fa più “naturale”. Ci predisponiamo alla pace interiore dell’uomo che contempla, animato da uno spirito romantico in grado di riconoscere il sublime e la bellezza, investito dal piacere di dipingere en plein air, come soleva fare una buona parte dei pittori impressionisti. Il medesimo discorso vale altresì all’interno di un atelier o di uno spazio chiuso qualsiasi: le arti possono essere terapeutiche poiché sono in grado di aprire nuove vie di comunicazione e di espressione servendosi di canali alternativi, taciti e misteriosi eppure quanto mai espressivi e comunicanti. Fermarsi di fronte ad un foglio o ad un blocco di materia da trasformare ci pone in una condizione differente rispetto alla frenesia odierna: la concentrazione con la quale mi soffermo mette in moto dinamiche profonde e, come detto, apre un ponte tra interiorità ed esteriorità, un’autostrada per i flussi di energia che animano ogni uomo e le rispettive azioni. Il foglio di carta, il blocco di creta, la materia, si fanno specchi in cui osservarsi inconsapevolmente, sui quali agire liberamente e comodamente operando contemporaneamente su noi stessi sotto “mentite spoglie”. «Se in un paziente psicotico l’arteterapia può essere consigliata come mezzo per aiutare il soggetto a separare la fantasia dalla realtà, per il nevrotico è utile per aiutarlo a connettere ragione e sentimento» (L. Grignoli). Avviene una autentica conoscenza, una lampante riscoperta della materia e con essa, mediante il contatto e l’azione, la tensione e la distensione muscolare, una riscoperta del proprio corpo, delle forze che lo muovono e delle rispettive potenzialità. Inizio a sentirlo: lo ri-conosco e mi riconosco, mi riscopro. Vedo il mio gesto concretizzarsi, l’energia farsi visibile, tangibile, potente come la scarica o la pressione che la generano. Mi sento e mi vedo, di nuovo, finalmente.
Se vissuto con equilibrio, evitando di evadere e di perdersi nell’idillio dei paradisi artificiali inscenati su foglio e nella mente, senza lasciarsi risucchiare in quel piacevole vortice azionato dal processo creativo, “fingendo” e operando su un piano metaforico, l’uso terapeutico delle arti può restituire alla persona il contatto con la realtà, con il mondo e con la propria identità. Paradossalmente proprio ciò che è artificiale si rivela incredibilmente “naturale” e benefico.
Testo di Stefano Sorgente
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