«Ho iniziato a scrivere canzoni molto molto giovane, a scrivere canzoni probabilmente non per merito mio, ma perché mia madre mi costrinse a studiare il pianoforte da quando avevo sei anni. Per molto tempo io ho odiato l’idea di dovermi esercitare per ore mentre i miei amici, i miei amichetti, andavano fuori a divertirsi. Ma, piano piano, ho capito che nascondeva un segreto questo strumento… perché quando studiavo le prime opere classiche, diciamo così, Beethoven, Chopin, quello che studiano tutti i ragazzini e tutti i bambini che si mettono seduti al pianoforte, ho imparato a capire cos’era la tristezza, la gioia, perché la musica classica, e la musica in generale, quando un bambino la suona, gli dà la possibilità di capire, molto prima che glielo insegni la vita, alcune sfumature di quello che possiamo provare. Perché ciò che è contenuto in certe opere classiche di questi grandi autori del passato, sono milioni di emozioni evocative; ed è per questo che ci ipnotizza ed è per questo che stiamo bene quando ascoltiamo la musica».
Queste sono le parole di un noto cantautore italiano, Cesare Cremonini, pronunciate al suo pubblico durante un concerto e rappresentano un ritratto molto personale e autentico della potenza evocativa della musica e di quanto questa sia importante nell’esperienza di qualsiasi persona, in special modo di un bambino.
Durante la nostra vita ascoltiamo, volenti o nolenti, un sacco di musica: spesso la ricerchiamo attivamente, magari durante momenti particolarmente positivi o negativi della nostra esistenza; ci è capitato sicuramente, al sopraggiungere di un singolo in radio, di osservare i nostri genitori guardarsi con tenerezza e dirsi: «Oh, la nostra canzone di quando eravamo giovani!»; oppure un nostro amico che, con un po’ di imbarazzo, ci chiede di cambiare brano, perché, ogni volta che ascolta quella data canzone, dopo dieci secondi inizia a piangere come una fontana poiché gli fa pensare alla nonna che ha perso un po’ di tempo fa. La musica richiama inevitabilmente vissuti ed esperienze e pertanto, con il passare della nostra vita, i brani musicali che ci accompagnano si colorano di connotazioni positive o negative, gioiose o dolorose in base a quelle che sono le nostre esperienze e i nostri vissuti a cui si legano. Quando ascoltiamo un brano sconosciuto, però, la nostra risposta emotiva è innescata innanzitutto dalle caratteristiche intrinseche ad una composizione musicale, in cui risuonano le intenzioni dell’autore. Il ritmo, l’armonia, la linea melodica, gli strumenti che intervengono, sono tutti elementi che contribuiscono ad attribuire ad un brano musicale una determinata coloritura emotiva.
Questa esperienza è tipica e molto più importante nei bambini che, avendo sulle loro spalle un bagaglio di esperienze più leggero degli adulti, possiedono un orecchio molto più “genuino” nell’ascolto della musica, non ancora, se così si può dire, contaminato dall’esperienza.
Evidenze scientifiche hanno osservato come i bambini, già a partire dai tre anni, siano in grado di dare una connotazione emotiva positiva o negativa ad una musica, in base al modo (della scala in cui essa è costruita: maggiore o minore).
I musicisti sapranno che il modo della scala è definito proprio dalle note che la costituiscono ed in particolare, dall’intervallo che intercorre tra la nota più importante al suo interno, la tonica, e ed il terzo grado della scala, ovvero la terza nota della stessa, definita per l’appunto modale. Se prendiamo la scala di Do quindi le note Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do. Questa è chiamata scala di Do Maggiore, perché, l’intervallo che intercorre tra la tonica, ovvero il Do, e la modale, ovvero il Mi, è un intervallo di terza maggiore, che consiste in una distanza tra il Do e il Mi di quattro tasti del pianoforte, compresi i tasti neri. Se prendiamo invece le stesse note, ma iniziamo a suonarle dal La, quindi, La, Si, Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, la prospettiva cambia in quanto in questa scala, detta di La minore, la tonica è il La, e la modale che è il Do, distano l’una dall’altra non quattro ma tre tasti del pianoforte, in un intervallo che è detto terza minore. Questa spiegazione piuttosto tecnica esita, a livello di ascolto, in una sensazione molto immediata: La scala di Do maggiore è allegra e serena, mentre la scala di La minore è triste e malinconica. Non a caso molte “ninna nanne” e canzoni per bambini come Fra’ Martino oppure Giro giro tondo, sono tutte costruite proprio su una scala di modo maggiore, mentre canzoni molto tristi, come la famosa marcia funebre di Chopin, all’interno della Sonata n. 2, è costruita su una scala minore. Ritornando ai piccoli ascoltatori dell’esperimento citato in precedenza, questi, se esposti ad una medesima musica, suonata però in scala maggiore oppure in scala minore, si sono dimostrati in grado di attribuire una connotazione positiva alla prima, e una negativa alla seconda.
La musica, pertanto, travalicando la parola, pone il bambino nella condizione di sperimentare un’emozione, prima ancora che diventi esperto conoscitore della sua sfera emotiva. La tristezza, la gioia, la rabbia o la paura non vengono nominate, ma semplicemente vissute, in un modo nuovo e speciale.
Essere emotivamente competenti significa, in primo luogo, essere esperti conoscitori degli elementi che fanno parte dell’espressione di un emozione: tra questi troviamo non solo la mimica facciale, dato estremamente importante per i bambini, ma anche l’intonazione della voce, la sua intensità, il suo ritmo ecc. elementi che non mancano in nessun brano. Ascoltare la musica permette ai bambini di allenarsi nel riconoscimento dei propri stati emotivi e di quelli altrui. Possiamo definire pertanto la musica una palestra di emozioni, uno spazio in cui, attraverso le note, il ritmo, l’armonia, il bambino può vivere un momento di grande sperimentazione di sé, mettendosi in ascolto non solo da un punto di vista sonoro, ma a 360°, mediante una ricezione che comprende il suo corpo, le sue emozioni e il suo essere globale.
Testo di Mattia Tagliani
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